Se i ragazzi non stanno bene
Condivido in questo articolo, alcune riflessioni fatte da Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta di formazione psicoanalitica, presidente della Fondazione “Minotauro” di Milano, intervistato da Sara del Corona per la rivista Marie Claire. Lancini sottolinea quanto siano in crescita nuove e diverse forme di disagio nei nostri adolescenti. Qui di seguito stralci dell’intervista, importanti spunti di riflessione.
“Parliamone dopo. Soprattutto dopo la Giornata Mondiale della Salute Mentale e il Mental Health Summit, di cui lo scorso ottobre si sono occupati i giornali. Meglio parlarne a febbraio, quando le giornate si allungano e viene quel formicolio tipico, voglia di vita, inversamente proporzionale all’età. Parliamone dopo i coming out sui propri disagi psicologici di Cara Delevingne, Emma Stone, Matilda De Angelis, per citare solo tre celeb che hanno sofferto da giovanissime e trascurarne altre cento. Sono già agli atti operazioni deflagranti come il progetto The Inner Pandemic del New York Times, che da mesi vende viaggi nell’adolescenza senza scontare il biglietto, ogni articolo una fermata in una stazione di un nuovo tipo di Far West, dove le sparatorie avvengono all’interno di anime e corpi giovani e giovanissimi, ogni fermata un tassello di un puzzle grande come il mondo.
Secondo l’Unicef, un adolescente su sette tra i 10 e i 17 anni su questo pianeta convive con un disturbo mentale diagnosticato: 166milioni di ragazzi e ragazze, come punta dell’iceberg, possono bastare? Parliamone adesso che abbiamo visto al cinema i teenager cannibali di Bones and All di Luca Guadagnino e l’intensissimo Close di Lukas Dhont, gran premiato a Cannes, e alla tv c’è la versione Netflix del romanzo Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli (e Mental di Michele Vannucci su Raiplay).
Quanta roba si è già detta sulla salute mentale dei ragazzi e ciononostante, parliamone come se non sapessimo di cosa stiamo parlando, perché è senz’altro vero. In Italia, come nel resto dei Paesi dell’Europa Occidentale (e come in Nord America, Medio Oriente e Nord Africa), il suicidio è la seconda causa di morte tra i 15 e i 19 anni, solo dopo viene la cosiddetta “mattanza” degli incidenti stradali. Ma concentriamoci sul nostro Paese. Secondo il rapporto Bes dell’Istat, l’indice di salute mentale dei teen italiani tra i 14 e i 19 anni nel 2021 si è contratto notevolmente, 220mila di loro (il 10%) si sono dichiarati insoddisfatti della propria vita, le ragazze di più, e vorrà dire qualcosa, un boicottaggio del futuro, se nel 2021 Eurostat ha rilevato che l’Italia è stata la terza nazione con più abbandoni scolastici (12,7%), dopo Romania (15,3%) e Spagna (13,3%). Elena Rainò, responsabile del Servizio di Day Hospital Psichiatrico dell’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino, denuncia, negli ultimi due anni, un aumento del 30% dei casi di disturbi alimentari e autolesività: «La pandemia ha slatentizzato un malessere che era già in aumento e l’ha potenziato, l’età di chi arriva scende anche a 11, 12 anni e sempre più spesso nella stessa persona al disturbo alimentare si aggiungono altri sintomi, per esempio il self cutting, o viceversa, come se una cosa sola non bastasse più». […]
Corpi in dissolvenza
Le forme del disagio sono tante, diverse, ma perlopiù hanno la stessa matrice: «Disturbo della condotta alimentare femminile, ritiro sociale maschile – che, manifestandosi proprio quando dovresti nascere alla tua nuova vita di adulto, è un suicidio sociale -, self cutting ma anche sexting, bullismo – che non si accanisce sui diversi, come sento spesso dire, ma sui fragili, perché rimanda alla propria insopportabile fragilità -, certe forme di baby gang e i tentativi di suicidio, di cui non vuole parlare nessuno ma sono in enorme crescita. […] Purtroppo non si riescono a ottenere dati precisi sui tentativi di suicidio perché spesso nei pronto soccorso vengono derubricati come ingestione accidentale di farmaci o caduta accidentale dalla finestra, per non attivare i servizi e le complesse procedure che interessano un minore. Si crede di fargli un favore, c’è una cultura psichiatrica che pensa ancora che il tentato suicidio sia un atto manipolatorio, un gesto dimostrativo a cui non dare importanza per non lasciare spago al ragazzo. Insieme a molti altri, io penso invece che sia vero il contrario, che sia il tentativo, per lenire un dolore mentale, di sparire per sempre e non sentirsi pazzi. E anche se il ragazzo ci prova con una mezza aspirina, l’atto va monumentalizzato, bisogna manifestarne la gravità, e parlarne insieme, del suo desiderio di morte. I genitori di adolescenti dovrebbero chiedere ai figli se hanno questi pensieri».
Tutte le forme di disagio utilizzano il corpo per manifestarsi. Che perde peso, si ferisce, si autoreclude, si fa prendere a pugni, viene fatto a pezzi con foto di genitali con cui si inonda la rete. […] Persino i tuoi genitori premono perché tu sia sempre felice, ventiquattr’ore al giorno. Prima gli adolescenti avevano a che fare con famiglie normative, padri autoritari e una società sessuofobica. […] Adesso, invece, il tuo interlocutore non è il genitore-nemico – perché in realtà ti vuole essere amicissimo e cerca anzi di evitarti accuratamente qualsiasi difficoltà -, né la società normativa, diluita nel suo stato liquido. Ma è l’ideale. Che, quel che è peggio, sta dentro, non fuori. «È un interlocutore interno che ti fa sentire inadeguato rispetto alle aspettative su di te che nel frattempo hai interiorizzato».
Il proprio corpo non è mai piaciuto agli adolescenti, ma prima era la fatica di riconoscerne la nuova forma sessualizzata, ora «non va mai bene rispetto all’ideale. Si cresce, oggi, per delusione più che per conflitto. E quando crolla l’ideale narcisista soffri. Ma non ti incazzi. Quando fallisci non ti incazzi, non riesci a esprimere la tua sofferenza». Cosa i ragazzi facciano di questo dolore inesprimibile, è stato elencato prima. «Ogni sintomo, cioè ogni azione di un adolescente, ha sempre due contenuti fondamentali: vuole comunicare disagio e sofferenza – ecco perché va preso molto sul serio ed è controproducente l’atteggiamento che si ha coi bambini, del tipo “non è niente, passa tutto, sei bellissimo e bravissimo” – e vuole lenire un dolore mentale». Tagliarsi, chiudersi in camera, sono forme di self fade (autodissolvenza). Persino l’utilizzo dei cannabinoidi ha perso il suo significato trasgressivo per diventare un lenitivo. […] Sono le sostanze più consumate dopo alcol, tabacco e cannabis, per “dormire, dimagrire, migliorare l’umore o essere più bravi a scuola. In una frase: per meritare di essere amati e sentirsi all’altezza della società e delle aspettative che questa impone”, sintetizza l’articolo. Anche prendersi a botte in molti casi è un modo per non sentire più quel male.
Fino a qui non è stata citata la pandemia perché tutto questo succedeva già prima. E ciò che è davvero accaduto poi, è stato che «gli adolescenti hanno aspettato la pandemia per poter dire finalmente: sto male», prosegue Lancini. Si sono concessi, con la complicità delle condizioni di vita estreme dei lockdown, di far esplodere il bubbone. Hanno protetto dal proprio dolore gli adulti, sempre più fragili, finché non ce l’hanno fatta più a non essere ascoltati. […] Come se ne esce? La famiglia affettiva è in crisi, ma ha il vantaggio di avere attivato canali di dialogo che possono essere sfruttati: «I ragazzi rispetto alle generazioni precedenti sono espertissimi di relazioni, non hanno timore degli adulti e anzi sono propensi a dar loro credito perché cercano disperatamente uno sguardo di ritorno. Grazie anche agli interventi di prevenzione nelle scuole, non hanno più paura del prefisso “psi”. Si potrebbe partire da questo, che non è poco. E da qualche domanda: vogliono che gli si chieda con curiosità come stanno, cosa fanno. E, oltre che “com’è andata a scuola?” anche “com’è andata online?” visto che, come dice il filosofo Luciano Floridi, viviamo tutti onlife», e la demonizzazione di web e social rischia di diventare una comoda ipocrisia.”